Zona Verde o Ecosistema?

Malgrado negli ultimi anni la cementificazione sia aumentata a dismisura, il nostro territorio gode ancora di una condizione abbastanza favorevole per quanto riguarda il verde.

Se guardiamo una foto satellitare del territorio di Mogliano possiamo facilmente notare che tutto intorno al centro della cittadina il verde è ancora preponderante, anche se fortemente ridotto rispetto a non moltissimi anni fa.

Si può però notare, altrettanto facilmente, che la stragrande parte di queste zone non edificate non è affatto territorio allo stato naturale, ma piuttosto campi ben ordinati e coltivati.

Un cittadino potrà obiettare che pur sempre di verde si tratta, ma tra le coltivazioni e l'ecosistema il rapporto è tutt'altro che sinergico: i campi infatti sono solo parte del Sistema Natura e, purtroppo, in alcuni casi incidono negativamente sui vari sottosistemi che lo costituiscono. Facciamo qualche esempio.

  • Le monocolture e la coltivazione intensiva richiedono grandi quantitativi d'acqua
  • Vengono utilizzate grandi dosi di fertilizzanti, diserbanti ed antiparassitari
  • Semplificano gli ambienti naturali , cioè le specie di flora e fauna che interagendo tra loro arricchiscono la biodiversità
  • Con lo sfruttamento intensivo si priva il terreno dei suoi nutrimenti naturali finendo alla lunga per renderlo sterile

E ci siamo qui limitati agli aspetti più immediati tralasciando le molte ricadute della coltivazione intensiva (si pensi solo al problema della riduzione delle api legato all'uso di certi pesticidi!).

In altre parole la differenza tra verde coltivato e natura sta nel concetto di ecosistema. Un ambiente naturale, se lasciato a sé stesso, tende a sviluppare differenze genetiche aumentando il numero di esseri viventi (piante ed animali) fino a raggiungere un equilibrio in grado di mantenersi nel tempo, reagire ai cambiamenti esterni (ad esempio i cambiamenti climatici) e soprattutto autoalimentarsi quasi all'infinito creando cicli che partono dall'energia solare per trasformarla in passaggi successivi in nutrienti che alla fine rientrano nell'ambiente stesso attraverso la decomposizione potendo quindi tornare ad alimentare il ciclo in una successione che non avrà termine fino a che non interverrà un qualche fattore esterno che possa metterla in crisi. Questa descrizione però ha senso solo in un ambiente privo di presenza umana. La presenza umana sul pianeta in queste ultime migliaia di anni, e ancor più oggi, ci costringe, se vogliamo mantenere l'ambiente della cave con tutta la sua biodiversità, a intervenire per accelerare alcuni processi naturali e ritardarne altri. Lasciando infatti questo ambiente alla sua naturale evoluzione, senza interventi regolatori, prima di raggiungere un nuovo equilibrio, definito climax (nel nostro caso il ritorno alla foresta originaria padana) passerebbero almeno 200 anni.

Un ecosistema sufficientemente ampio, poi, tenderà a differenziarsi al punto tale da poter resistere adattandosi e modificandosi, anche nel caso di variazioni esterne molto significative. Più ampia è la variabilità delle combinazioni genetiche (gli esseri viventi) presenti nel sistema e più è probabile che alcune di queste possano sopravvivere anche nel caso di mutamenti molto drastici, purché abbiano il tempo di adattarsi oltre ad un minimo di fortuna. Pensiamo ai grandi deserti: un tempo alcuni di questi erano probabilmente fondali oceanici oppure foreste e savane; i cambiamenti geologici e climatici avvenuti in decine o centinaia di migliaia di anni ne hanno modificato radicalmente le caratteristiche, ma non per questo la vita si è estinta: certamente la variabilità si è ridotta, gli esseri viventi sono molto meno numerosi di un tempo, ma la vita si è adattata al nuovo ambiente raggiungendo equilibri diversi sebbene altrettanto stabili.


 Il centro di Mogliano visto dal satellite (Google Maps) 
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